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La Montea - SU QUEI MONTI L’ANIMA SI RITROVA

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 SU QUEI MONTI L’ANIMA SI RITROVA

Non importa quale sia la montagna da scalare o il sentiero da percorrere prima di giungere alla meta stabilita. Quando si imbocca una via, sia questa un percorso di montagna o una stradina di  paese, occorre  porsi nello spirito giusto: riflettere sul senso che si vuole dare ai propri passi, mettendo in conto l’imprevisto; accogliere l’Altro diverso da Sé, con la  consapevolezza di dover rinunciare alle proprie certezze; sospendere ogni giudizio, per lasciarsi andare a nuove esperienze. Così ci si muove pensando ad un rinnovamento dell’ Io che, insieme al corpo, si arricchisce dell’ humus della terra e dell’ umanità dei compagni di viaggio. E mentre si guadano piccoli ruscelli, si percorrono strette cenge, si attraversano fitti boschi, si scoprono luoghi sconosciuti, allo stesso tempo si tempra lo spirito preparandolo ad affrontare le difficoltà che ogni essere umano incontra durante la propria esistenza: ogni piccolo o grande ostacolo superato dà vigore e coscienza al proprio essere persona, così come ogni rinuncia al percorso diventa una pausa di riflessione per ritentare lo stesso cammino in un momento più favorevole. In questa continua ricerca della propria interiorità, la montagna ne rappresenta una delle metafore più proponibili, offrendo ai suoi frequentatori validi strumenti per interrogarsi sull’essenza della vita: attraverso la conoscenza del territorio ed il rispetto della natura l’ Io si umanizza, orientandosi verso ciò che E. Fromm sosteneva bisognasse curare: l’Essere, a svantaggio dell’Avere. Ma se si vuole essere “viaggiatori” e non soltanto “passeggeri” o “turisti” bisogna essere disposti a rallentare i ritmi e convivere con il silenzio  che sempre accompagna colui che è alla ricerca di se stesso: ascoltarsi per staccarsi dalle opinioni comuni, da tutto ciò che è consolidato,in una sorta di metafisica del “già acquisito”, rinunciando all’ovvio per affrontare nuovi problemi e porsi nuove domande. E’ questo il motivo per cui Marc Augé rifugge  dalla “cultura del passeggero” mentre apprezza  quella del “ viaggiatore”: la prima, a suo parere, mira a giungere alla meta il più velocemente possibile, per consumare in fretta un gesto che richiederebbe invece tempo; la seconda a curare l’itinerario, prestando attenzione a ciò che si incontra lungo il percorso per trarne arricchimento. Probabilmente la cultura del viaggiatore si acquisisce nell’età più matura, quando, affievoliti gli ardori della giovinezza, si inizia a fare un bilancio della propria vita: misurare i  passi e  osservare con occhio più attento ciò che si incontra sul proprio cammino diventa un’esigenza di riconciliazione con la natura ed il mondo, una sorta di espiazione per il tempo perduto nel grigiore. Non importa, pertanto, il luogo che si vuole raggiungere quanto piuttosto, come asserisce Paolo Rumiz, far sì che ogni viaggio si trasformi in una  “esperienza iniziatica e individuale….uno strumento-base per l’approccio fra gli uomini ….per conoscere i luoghi e se stessi”. E’ a questa concezione del viaggio che si affianca una idea più matura dell’escursionista: non,quindi, un “ turista consumatore della propria vita, ma un viaggiatore che la scrive” e che riflette sulle esperienze fatte durante la sua strada. Forse troppo tempo è trascorso a camminare senza percepire a pieno il grande insegnamento della montagna, ignorando che la sua frequentazione può rappresentare uno stile di vita in grado di, insieme agli affetti familiari, riempiere di significato la propria esistenza. Da qui nasce l’esigenza di riconciliazione in una sorta di catarsi, dove la superficialità fa spazio alla profondità della Natura e dell’ Essere: capire la grande lezione della montagna, significa comprendere meglio se stessi, ritrovare quella parte di anima per troppo tempo intrappolata nei frastuoni della città, nelle parole prive di significato e nei gesti manierati da circostanze di rito, per recuperare,invece, la bellezza del proprio essere umano insieme alla consapevolezza della propria finitudine. E l’anima, libera dalle catene della routine, riprenderà il suo viaggio per monti e luoghi nuovi: percepirà  i silenzi  della natura, il linguaggio  degli animali, il sussurrio  del vento;  osserverà l’erba bagnata di rugiada nelle prime ore del mattino, i freschi germogli degli alberi rinati a nuova vita, dopo che l’ autunno ne ha spogliato i rami e l’inverno rimandato la rinascita.  E continuerà il suo viaggio insieme a coloro che  vorranno condividerne le motivazioni.                                                                                                                                                                                                                                           Adriana Bosco

        Cenni bibliografici

  • Fromm E.  “Avere o Essere”, Mondadori, 1977
  • Augè M. “ Nonluoghi ”, Eleuthera 1993
  • Rumiz P. “ Istruzioni per un viaggio perduto”,  Intervista di M. Calabresi 2016
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