LA GRANDE FRANA DEL MONTE POLLINO.  SULLE TRACCE DEI LUPI

Sono in macchina. Sto tornando a casa dopo l’ennesima ascensione sul Monte Pollino e non posso fare a meno di pensare alle tante e tante avventure su questa meravigliosa montagna, ai versanti dirupati, ai mastodontici esemplari di pino loricato che vegetano un po’ ovunque lungo i suoi fianchi, ai sublimi panorami della vetta, ai nevai delle doline e….alla Grande Frana del versante nord. Perché proprio a lei? Semplice. Perché qui effettuai, diversi anni fa, la mia prima ascensione invernale in cordata, risalendo un largo canale alla sua sinistra chiamato “Via dei Lupi”. Proprio questi eccezionali predatori, infatti, frequentano stabilmente le zone a nord sia del Pollino che della Serra Dolcedorme, al punto che non è inusuale vederne bene le tracce sulla neve. E alla base della Grande Frana queste tracce ci sono spesso…

Si tratta, dunque, di un luogo a cui sono particolarmente affezionato e nel quale decido, saltuariamente, di ritornare. Ovviamente il periodo migliore è quello invernale, con la neve, poiché le ampie e scivolose pietraie presenti rendono la risalita molto pericolosa nelle altre stagioni.

Ma oggi, mentre guido, ripenso all’esperienza appena vissuta e ai grandi insegnamenti che sa darti la montagna. La lezione odierna è di non dare mai nulla per scontato e di non sottovalutare eventi e circostanze che invece meritano attenzione e accorte riflessioni. Partiamo dall’inizio.

Come sempre sveglia molto presto, rapida colazione e partenza. L’alba la vediamo dall’autostrada e, di buon ora, siamo al Colle dell’Impiso, luogo di partenza della nostra escursione.

Per oggi abbiamo in programma di raggiungere la base del versante Nord del Monte Pollino e, una volta lì, valutare la condizione delle pareti sovrastanti e scegliere una via di salita. Questo in teoria, perché in pratica, dentro di me, avevo già un obiettivo ben preciso. Siamo quasi alla fine dell’inverno, un inverno eccezionale per l’innevamento, quello 2013, che ha coperto diverse piccole pareti rocciose e creato enormi cornici e muri di neve sulle creste. Indossiamo le ciaspole fin dalla partenza e la neve, pur compatta, non è dura, come invece dovrebbe essere in tutto il primo tratto di sentiero fino ai Piani di Vacquarro, completamente in ombra e già calpestato da altri nei giorni precedenti. Dovrà pur significare qualcosa, eppure c’è sempre quell’idea in testa….

C

Chiacchieriamo piacevolmente e, quasi senza accorgercene, percorriamo tutta la stradella del bosco di Chiaromonte, i Piani di Pollino e ci troviamo sotto la Grande Frana. Mai nome fu più azzeccato! Dinanzi a noi, infatti, dove solitamente ci si deve districare tra bassi rami contorti di faggi, una enorme slavina ha fatto piazza pulita, aprendo una autostrada naturale verso il paradiso. Si, voglio chiamare proprio così lo spettacolo che ci si para davanti e che d’incanto crea quella condizione mentale di sospensione dello spazio e del tempo che solo le cose che si amano davvero sono in grado di provocare. Le pareti sopra di noi sono tutte imbiancate e, nelle zone in ombra, piccole colonne di ghiaccio si insinuano negli anfratti più nascosti. Le pietraie estive sono adesso una enorme ed invitante distesa uniforme, bianchissima, interrotta di tanto di tanto dai solchi verticali delle palline di neve che il vento fa cadere dall’alto e che vorticosamente scivolano verso valle. In alto un imponente e sinistro muro di neve, alto almeno due metri, ci sovrasta. Dalla Sella Dolcedorme fino alla cima del Pollino incornicia tutta la cresta, offrendo uno spettacolo unico, l’essenza della forza creativa degli eventi atmosferici e naturali, la migliore dimostrazione di quanto siamo piccoli in questo mondo. Adesso quell’idea che avevo in testa ce l’ho davanti. Un piccolo colatoio al centro tra il grande canale della “Via dei Lupi” e un altro in basso, che ne rappresenta la variante più conosciuta. È talmente emozionante essere qui che ci dirigiamo subito all’attacco, trascurando di osservare bene la zona circostante, che pure conosciamo bene. Infatti ci leghiamo e facciamo sicura su un pino loricato, in estate sopraelevato di almeno 5 metri rispetto al piano di calpestio. Dovremmo ricordarci che fino all’imbocco del colatoio ci sono enormi massi e piccoli risalti rocciosi, dovremmo valutare bene le condizioni della neve, dovremmo fare tante cose, ma ormai siamo “accecati” dal nostro obiettivo. Parto io per primo, faccio pochi metri e…..giù, con la gamba penzoloni su un piccolo crepaccio. Vedo le rocce sotto di me, mi spavento, se dovessi cadere mi farei male, anche se la corda dovrebbe trattenermi. Ma se poi non è così? La neve è molle e non è detto che anche il sistema dei nodi a palla possa essere efficace per far incastrare la corda e bloccare la caduta. Inoltre il crepaccio è alto solo pochi metri e dunque  è davvero alto il rischio di finirne sul fondo senza poter fare niente. Cerco il più lentamente possibile di tirare su la gamba senza fare pressione verso il basso e, piano piano, riesco ad uscire. Ho adesso il problema di trovare un punto sicuro da raggiungere per valutare con calma la situazione, ma finalmente sono di nuovo lucido. C’è una crestina rialzata di fronte a me ed è lì che devo puntare. Con molta cautela compio un lungo aggiramento, mentre i miei compagni recuperano o danno corda a seconda delle esigenze, mi assicuro su un piccolo spuntone e cerco di andare avanti, ma oggettivamente non ci sono proprio le condizioni per proseguire, la neve è instabile e pericolosa. Torno indietro dagli amici in sosta. Nessuno ha voglia di continuare da qui e insieme decidiamo di scendere fino all’imbocco della variante normale. La stessa, del resto, gode di una migliore esposizione e si trova ancora in ombra. Iniziamo a salire e subito ci tranquillizziamo, qui il manto nevoso è stabile e molto duro. Progressivamente  assorbiamo l’adrenalina accumulata in precedenza e iniziamo a rilassarci e a godere degli incantevoli scenari che abbiamo intorno. Come per magia, sbucati sulla spalla del versante nord, una gigantesca cornice ci accoglie, sovrastandoci nella sua affascinante imponenza. È la molla che fa ripartire le gambe! Lasciamo in questo punto la corda e tutta l’attrezzatura superflua e proseguiamo lungo la pendice. Da qui vediamo solo il bianco e l’azzurro sopra di noi, siamo poco oltre i 2000 metri di quota, ma anche se fossimo a 4000 sarebbe la stessa cosa, è come toccare il cielo con un dito. L’ultimo tratto a 55° lo “divoriamo” e finalmente siamo sulla cresta, dove un forte libeccio foriero di nebbia ci accoglie, roteando impetuosamente in aria i cristalli di neve. Sarebbe bello fermarsi a lungo, ma non possiamo, dobbiamo recuperare il materiale e trovare un luogo protetto per mangiare qualcosa. Rapida salita in cima e scendiamo in disarrampicata lungo l’itinerario dell’andata, fino a dove avevamo lasciato le ciaspole. Qui possiamo almeno sedere comodi e rifocillarci con calma, prima della piacevole passeggiata di rientro alla macchina. Oggi abbiamo imparato tanto, sono certo che ne faremo tesoro!

 

 DOMENICO RIGA