A picco sulle gole del Rosa. Tra pareti verticali, cenge esposte, creste rocciose e…..peonie!

Nel mio peregrinare per monti, che dura ormai da circa quindici anni, diverse volte mi sono emozionato, addirittura estasiato,  ammirando luoghi bellissimi e selvaggi con occhi avidi di nuove conoscenze e curiosi come quelli di un bambino appena nato. Ma ne esiste uno che più di ogni altro mi ha fatto battere forte il cuore per l’emozione, di cui conservo viva la memoria e nel quale vorrei portare, appena possibile, altri cari amici, per condividere con loro, ne sono certo, le stesse sensazioni di estatico stupore. Questo luogo è quel complesso di pareti verticali, pinnacoli, cenge esposte, creste rocciose e ripidi valloni che sulle carte topografiche è indicato come “Pietra dell’Angioletto”.

Si tratta dell’angolo più spettacolare a valle della Serra Scodellaro e del Cozzo Iazzati, proprio a picco sulle Gole del Fiume Rosa, in territorio di San Sosti.

La conoscenza di queste zone selvagge la devo ad un amico di quelle parti, Vincenzo Maratea, un pioniere delle escursioni nel Pollino e vera memoria storica di ogni più remoto anfratto delle sue care montagne. È proprio grazie a lui che scopro, ad esempio, i nomi che i locali danno a specifiche porzioni di territorio e che si legano indissolubilmente alla tradizione agricola e pastorale. In cuor mio auspico vivamente che i giovani sansostesi possano avere la stessa passione che dimostra Vincenzo per la sua terra e che riescano a tramandarne, come fa lui, storia, origini e senso di appartenenza. Senza questi capisaldi tutti i paesi di montagna distanti dalle rotte turistiche più conosciute sono destinati all’oblio e allo spopolamento….

L’itinerario da noi scelto prende le mosse dal pianoro di Casiglia, attualmente raggiungibile solo con un buon fuoristrada, come purtroppo accade a molti altri luoghi di grande interesse naturalistico ed escursionistico nel territorio del parco, da dove s'imbocca il sentiero che porta al Campo di Annibale.

Il sentiero costeggia il Vallone Zoppatura, ossia “che azzoppa asini, cavalli e persone, data la ripidità”, attraversa il Cozzo della Civarra e l'Olivella e, all’altezza di una piccola radura, la Conca dell'Acero, si abbandona, piegando a sinistra.

Chi frequenta l’Orsomarso sa bene che in tutta questa zona esistono le colonie più estese di una vera meraviglia botanica, la Peonia o Paeonia, che qui è presente nelle due specie Peregrina, di colore rosso fiammante, e Mascula, di colore rosa. Siamo alla fine di Maggio, quest’anno molto freddo rispetto alle medie del periodo, soprattutto nelle ore notturne e dunque la fioritura, che normalmente a queste quote è già quasi esaurita è, invece, nel massimo splendore. Raggiunta la radura, infatti, veri e propri giardini in fiore ci si parano davanti e dobbiamo stare attenti e dove poggiare i piedi per non rischiare di calpestare qualcuna di queste preziose piante. Individuiamo decine e decine di colonie rosse e rosa che tappezzano il sottobosco e, tra una foto e l’altra, il tempo trascorre inesorabile, finché ci decidiamo a ripartire di buona lena, considerando che il seguito dell’itinerario è ancora lungo e può riservare delle insidie.

In breve raggiungiamo il costone e si aprono visuali d’incanto sulle Gole sottostanti, il Santuario della Madonna del Pettoruto, l’abitato di San Sosti, Montea e su un ben marcato dente roccioso a metà della cresta soprastante. È lì che dobbiamo puntare.

Non esiste un vero sentiero, ma un dedalo di stretti camminamenti creati dalle capre e dai cinghiali che frequentano stabilmente la zona, per via della quasi nulla frequentazione umana e dell’asprezza del territorio, ideale per queste specie faunistiche. Ne scegliamo uno che resta in quota. Si sentono dei rumori poco davanti e, infatti, all’altezza di un piccolo terrazzino aperto, scorgiamo circa cento metri più avanti una famigliola di cinghiali che, alla nostra vista, subito scompare di corsa verso il fondo del vallone.

Arriviamo alla sella sotto il dente roccioso, ed è qui che iniziano le visioni paradisiache e il viaggio nella affascinante toponomastica “ufficiosa” che ci accompagneranno per tutto il resto della salita.

Alla nostra sinistra svetta, infatti, la “Pietra di mastrucacatu”, il cui nome deriva con molta probabilità da qualche sfida tra pastori. " Tu che ti fai sempre " u mastru" , il maestro, perchè non sali sulla pietra e dimostri il tuo coraggio?". " Certo che ci salgo, vi faccio vedere io se sono capace o no". Arrivato in cima il povero malcapitato si trovò sospeso nel vuoto e dalla paura se la fece addosso. Da ciò " a petra i mastrucacatu". Come ho già detto, tutto il complesso roccioso viene indicato sulle carte topografiche come “Pietra dell'Angioletto”, ma in realtà il toponimo con cui è conosciuta dai locali è "a taglia i Gangiulieddru", che osserviamo di fronte, al di là del ripido vallone. “Taglia” perché la pietra si sviluppa dritta dall'alto in basso come se qualcuno l'avesse tagliata, mentre “Gangiulieddru” è il nome di qualche altro pastore di nome Angioletto. E qui è tutto dedicato a lui: a’ taglia i gangiulieddru, a’ grutta i gangiulieddru, u’ gafaru i gangiulieddru (il vallone che porta dalla pietra al fiume Rosa), la cengia i gangiulieddru.

Proprio questa cengia è il nostro prossimo obiettivo. Vincenzo mi ha detto che aggira tutta “a’ taglia” e raggiunge la cresta successiva, consentendo di salire sulle cime soprastanti. L’imbocco, inoltre, è riconoscibile per la presenza di una piccola grotta. Focalizziamo bene il percorso e ci avviamo. Anche questo tratto non è da sottovalutare, svolgendosi su placche rocciose, per fortuna non verticali, e qualche passaggio in facile arrampicata. Ad ogni modo, senza grossi problemi e aiutati dagli immancabili camminamenti, arriviamo sotto la parete e, con qualche centinaio di metri di discesa, eccoci all’attacco della cengia. La grotta è in effetti molto piccola, ma ci si entra stando in piedi e all’interno sono presenti due pozze d’acqua perenne, ora è chiaro perché le tracce degli animali ci hanno guidato così agevolmente!

L’adrenalina sale, ci aspetta il tratto più spettacolare di tutto l’itinerario, ma ovviamente una cosa è immaginarlo, una cosa è percorrerlo. In realtà la cengia è sempre abbastanza larga, ma molto esposta, per cui l’attenzione deve essere massima, tuttavia abbiamo modo di scattare qualche bella foto e appagarci pienamente degli scenari che ci circondano. Nell’ultimo tratto una piccola frana ostacola leggermente il passaggio, ma la attraversiamo ricongiungendoci alla cresta che ci toccherà risalire. A questo punto è d’obbligo una sosta in un altro luogo di rara bellezza che nessuno scatto fotografico o filmato riuscirà mai a descrivere degnamente.

 

Scendendo per un altro centinaio di metri, infatti, si percorre l’aereo crinale posto esattamente nel mezzo tra la cresta da dove siamo arrivati e la successiva. Proprio sotto quest’ultima è possibile ammirare “a grutta u palummu (grotta del colombaccio)”, una enorme volta sospesa sulla valle e circondata da rocce bianchissime piegate perfettamente ad arco. Vorrei avere le ali e sorvolare tutte le meraviglie che questo scrigno naturale racchiude, ma ovviamente non posso e mi accontento di sedere sulla punta di alcune rocce rialzate per contemplare il paesaggio, senza sapere neanche cosa focalizzare con precisione, tali e tanti sono gli spettacoli che attirano l’attenzione. Forse neanche stando qui una vita intera riuscirei a notare ogni piccolo particolare, ogni sporgenza, ogni pianta, ogni anfratto o visuale panoramica. Ancora manca un bel po’ per raggiungere la vetta sopra di noi, il Cozzo Iazzati (da Iazzo, stazzo, luogo di dimora del bestiame), attraverso una cresta che presenta qualche altro passaggio esposto e tratti in semplice arrampicata, ma che giunge pur sempre dopo molte ore di cammino. Ci avviamo. Dobbiamo stare molto attenti perché qui gli errori non sono ammessi e infatti un paio di risalti rocciosi ci costringono ad un surplus di emozioni e scariche di adrenalina, ma tutto va per il meglio e finalmente, dopo quasi cinque ore di cammino, siamo sui prati verdi della prima cima del Cozzo Iazzati. In discesa intercettiamo il sentiero del Vallone Zoppatura molto più in alto attraversando altre belle stazioni di Peonia, ma ormai non ci facciamo più caso….

 DOMENICO RIGA